Come alcuni di voi ricorderanno, a Padova ha avuto inizio uno dei più noti e controversi casi giudiziari di cronaca nera italiana: il caso Carlotto. È il 20 gennaio 1976, intorno alle 17:30. Una studentessa ventiquattrenne di nome Margherita Magello, è da poco uscita dalla doccia, indossa solo un asciugamano ed è a telefono con un'amica. Qualcuno suona alla porta, Margherita apre e dice all'amica che sarà una cosa lunga, quindi richiamerà più tardi. Non potrà farlo: viene uccisa con cinquantanove coltellate, la maggior parte al torace e all'inguine. Rimane agonizzante e nuda per terra. Poco dopo entra in scena Massimo Carlotto, diciannovenne militante di Lotta Continua. Racconterà di essersi trovato in quella via perché nello stesso palazzo abitava la sorella, di aver sentito le grida della ragazza dalla strada e di essere entrato. Fu lui a chinarsi per cercare di cogliere le ultime parole di Margherita, invano. Il ragazzo, sconvolto, si accorse poi di essere sporco di sangue e corse da due amici che stavano studiando. Raccontò concitatamente l'accaduto, poi insieme andarono dall'avvocato Tosi e da qui alla caserma dei carabinieri in Prato della Valle. Entrato come testimone, fu fermato e accusato dell'omicidio. Il ragazzo si proclamò innocente sin dall'inizio e sempre lo farà, durante tutta la sua battaglia legale. Il processo che seguì contiene un numero tale di stranezze e punti oscuri da essere divenuto un noto caso giudiziario. Inizialmente assolto per insufficienza di prove, Carlotto venne poi condannato a diciotto anni di carcere in appello. Prima che la sentenza diventasse definitiva, l'imputato se ne andò in Francia e in Messico. Forse anche per questa sua latitanza, la Cassazione nell'85 confermò sentenza e pena. In quello stesso anno Cariotto venne espulso dal Messico, tornò in Italia e cominciò la battaglia legale per ottenere la revisione del processo. Nell'88 il colpo di scena: due prove lo scagionerebbero. La prima prova sono i guanti che indossava quando entrò in casa Magello, che presentavano macchie subito identificate da investigatori e giudici come tracce di sangue senza però che venisse eseguita alcuna peri~ia. Più tardi gli accertamenti dimostrarono che non si trattava di sangue. La seconda prova è l'impronta con dei disegni in rilievo lasciati da U,(la suola di gomma: Carlotto indossava le Clarks con suole di gomma liscia, quindi quelle scarpe dovevano appartenere a qualcun altro. Altri particolari di rilievo sono le gocce di sangue appartenenti al gruppo B che non corrispondono al sangue di Cariotto e il mistero di due asciugamani insanguinati improvvisamente comparsi nelle indagini. Dopo diciassette anni di disavventure giudiziarie, undici processi, ottantuno giudici, tre sentenze della cassazione, cinquanta perizie mediche e sei anni di carcere, Massimo Carlotto ha ottenuto la grazia che non ha mai voluto chiedere, in quanto innocente. Sono stati i suoi genitori a chiederla al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che l'ha concessa per la complessità del caso e per motivi di salute. In effetti la cella per Carlotto era una vera e propria condanna a morte, a causa del "dismetabolismo organico in soggetto con arteriosclerosi precoce" di cui è affetto. |
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tratto da "Misteri e storie insolite di Padova" -Newton Comption editori |